Eracle di Euripide - Teatro di Siracusa 2018

27 luglio 2018 - ore 19,50
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    Teatro/Siracusa.2018:
    in scena l'“Eracle” di Euripide
    regia di Emma Dante 


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    Aveva avvertito in conferenza stampa che il Teatro Greco di Siracusa è difficilissimo perché è un luogo che pretende la misura straordinaria, che “è un teatro che aggredisce”, che non vuole imposizioni ma il dialogo “sennò ci fagocita”. Emma Dante, invece, apre il 54° festival delle rappresentazioni classiche di Siracusa e doma la belva, la fagocita di meravigliosa fame e la risputa in uno spettacolo nel più nuovo che quel teatro abbia mai ospitato. Emma Dante voleva metterci umiltà e passione e ha mantenuto la promessa: il suo “Eracle” ha colto della poetica di Euripide, riflessiva e sensibile, l’essenza e ne ha fatto scena. Scena palpitante, colma, bella. E se qualcuno aveva il sospetto che Emma Dante fosse il teatro, ieri sera quel sospetto si è fatto verità. L’aveva promesso Emma Dante “a Siracusa farò un teatro forte, coraggioso”, ribadendo la coerenza alla sua visione di teatro “non comodo” . La sua regia di “Eracle” esalta con iperbolica potenza scenica il testo esile di azioni di Euripide. Un teatro potente, quello di Emma Dante.Emma Dante

    Potente. In tre sillabe la messinscena di “Eracle” (la tragedia fu composta probabilmente tra il 423. e il 420 a.C. e rappresentata nel 416 a.C.). Potente se il Teatro Greco di Siracusa, luogo fisico e irreale insieme, ha compiuto un movimento d’onda, si è ritirato in un silenzio stupito ed è fluito in sei interruzioni di applausi per uno spettacolo in cui la forza fisica contende con la forza della parola. E’ il corpo a dominare la scena: la parola si fa fisicità, divenendo la voce ora roca ora stridula di Anfitrione (Serena Barone, in assoluto la migliore) o squarciandosi nell’urlo bestiale e meccanico di Eracle (la prova di Mariagiulia Colace è generosa ma acerba). Potente perché la regista palermitana ha fatto un gioco scenico ed extra-scenico assieme, decidendo con il coraggio del genio (il coraggio è uno dei temi della tragedia, soprattutto nella prima parte, nel dialogo tra Anfitrione, Lico il tiranno usurpatore e Megara, la moglie di Eracle) di ripristinare l’antica recitazione di genere, con gli uomini che interpretavano anche i ruoli femminili, ma al tempo stesso di rinnovarla, rovesciandola e imponendo lei le maschere. Sul corpo di Eracle, ora relitto di una ragione sottratta per capriccio della dea Era, la regista fa una scommessa euripidea: mostra la fragilità laddove aveva debordato la durezza, offre alla scena il muscolo del cuore. E scatta la poesia dell’eroe che piange, che cade per vergogna e debolezza, per sensibilità. Come una donna. Perché è una donna. 

    Perché Emma Dante nella sua straordinaria interpretazione del teatro classico ha scelto per il protagonista e per tutti i personaggi principali (tranne il corifeo Samuel Salamone e il coro degli anziani) attrici e non attori. Un gioco di compensazione ( la compensazione è il tema della parte finale della e prende la forma di accettazione del dolore e di purificazione) tra maschio e femmina, tra quella duplicità ermafrodita che appartiene al maschio e alla femmina: Emma Dante la propone senza retorica e la trasforma in espediente teatrale per straniare il pubblico riportandolo indietro nel tempo, con naturalezza e grazia (nel mito Eracle aveva subito un travestimento femminile quando era prigioniero di Onfale) .

    Già Euripide, il tragico dell’animo umano, aveva tradito la figura di Eracle. Non solo l’eroe della forza bestiale, semidio per inganno, sempre scisso tra l’Ade – cui aspirava- e l’Olimpo -in cui viene assunto-, scisso tra due eternità, di lutto e d’ambrosia: Eracle è colto da Euripide in una scena del potere (per riferirsi al tema del ciclo di quest’anno) non in asse. Eracle è il re di Tebe, cui Lico ha usurpato il trono mentre era assente (la dodicesima fatica –catturare Cerbero- lo aveva a lungo trattenuto agli Inferi). Tornato in patria apprende anche che Lico vuole sterminare la sua stirpe. Accecato dall’ira uccide Lico, ma viene accecato a sua volta dalla vendetta di Era che lo fa impazzire. Sotto il dominio di Lyssa (la Furia) e di Iris (la messaggera di Era) Ercole uccide moglie e figli. Il padre viene salvato da Atena che mette fine al folle scempio. Eracle, saputa la verità, cede allo sconforto e medita il suicidio. Ma arriva l’amico Teseo che lo convince a purificarsi e accettare il dolore della colpa.


    Non è Eracle la scena del potere, lui è il potere che esce di scena. Ercole di Euripide non conserva l’arroganza del potere (di Lico. Patricia Zanco riesce quasi sempre a convincere nel dare corpo a un tiranno megalomane e ridicolo, beffardo e vile: Lico sputa ed è la diminutio del potere) né la misura del potere(Teseo, Carlotta Visco sa i tempi della scena). Eracle, lo sterminatore di mostri (il racconto delle fatiche è fortunatamente ridotto grazie anche alla traduzione di Giorgio Ieranò, efficace seppur antilirica e con qualche citazione di troppo e qualche discorso sofista di meno) è portatore di αμαρτία (amartìa) ossia dell’errore inconsapevole da lavarsi con un sacrificio di decontaminazione. Ed ecco il lavacro con la vasca al centro della scena (una gebbia siciliana).


    La scenografia curata da Carmine Maringola fa delle mura di Tebe un cimitero mediterraneo, sui sepolcri che richiamano le tombe delle necropoli sono poste croci moventi roteanti come pale di mulino; e quando il coro dei vecchi, metamorfizzato da giudici in suore- per un gioco di costumi che è il punto forte dello spettacolo assieme alle musiche- sale sulla colombaia con i loculi sembra disegnarsi un quadro fiammingo. Mediterranee sono le musiche curate da Serena Ganci: l’artista rinuncia alla musica dal vivo e fa irrompere sulla cavea fraseggi techno, lamentazioni funebri dietro le quali si avverte lo studio dei canti delle prefiche e quelli popolari del Venerdì Santo, e una canzone bellissima ad accompagnare il movimento di sistrofe del corteo funebre. La suggestione delle musiche è la suggestione dei costumi. Vanessa Sannino si è sbizzarrita a fare dei costumi parte testuale, accogliendo tutte le tradizioni: dai costumi delle saghe nordiche medievali alle vesti con l’hijab (di un ribelle fucsia) delle kamikaze di Lico, dai costumi da bagno anni ’50 per il lavacro di Megara e dei figli (Sena Lippi, Isabella Sciortino e Arianna Pozzoli) alla veste di pizzo con raggiera di Megara (Naike Anna Silipo, che ben sa interpretare il fanatismo funebre del personaggio euripideo) ai costumi da locuste dei film di fantascienza (Francesca Laviosa e Arianna Pozzoli, nei ruoli di Lyssa e Iris sono brave anche nelle movenze coreografiche; bravissime anche le danzatrici Sabrina Vicari, Mariella Celia e Silvia Giuffrè), dalle veste di nero derviscio (la scena di danza più suggestiva e sorprendente) fino alle vesti del coro (con i bravi attori dell’Accademia “Giusto Monaco” dell’Istituto del Dramma Antico di Siracusa) che si alzano e si richiudono a formare cuscini di rose nel quadro scenico finale, che sferra un coup de theatre al ritmo orizzontale del testo e imprime alla rappresentazione di Emma Dante un movimento circolare.

    “Eracle” di Emma Dante termina con uno shock d’immagine come si era aperto con l’altro urto del prologo assorbito dall’entrata di tutti i personaggi, accompagnati dal rullo dei tamburi, che si presentano al pubblico prima del “si cominci l’opera”, a mo’ di tradizione pupara cavalleresca. E c’è molta sicilianità nella regia di Emma Dante. Anfitrione nel corpo di una donna da padre diventa una mater dolorosa siciliana surreale e melodrammatica, i movimenti speculari di Eracle e Teseo hanno gli scatti e i ghigni dei pupi, il pasticcio linguistico privilegia il dialetto siciliano (in versione molto palermitana), Cosa avrebbe detto il mite e misogino Euripide di tanto trionfo di donne e di tanta contaminazione? Forse, ed è un azzardo, avrebbe apprezzato questo “baccanale senza gioia”, forse avrebbe visto nella contaminazione degli stili (cenni di farsa spezzano lo stile tragico) e dei linguaggi il simposio del suo illuminismo, forse nell’afflato religioso risolto nel passo a due di Teseo ed Eracle avrebbe riscritto la sticomitia di uomini e di dèi che fu il suo mondo poetico. Forse. Ma quel “Ti comporti da donna” detto da Teseo a Eracle l’ha scritto Euripide: Emma Dante lo sapeva e ne ha fatto poesia in forma di teatro.



    Trama:

    Il dramma è ambientato a Tebe, davanti al palazzo di Eracle. La moglie Megara, i tre figli dell’eroe e il padre Anfitrione, attendono con trepidazione il ritorno di Eracle, sceso nell'Ade per compiere l'ultima fatica; la loro vita è in pericolo da quando a Tebe Lico si è impadronito del potere uccidendo Creonte, padre di Megara e re della città.
    Proprio quando il loro sacrificio sta per compiersi, ritorna Eracle che, informato dai suoi familiari dei recenti accadimenti, entra nella reggia per tendere un agguato a Lico. Questi cadrà, poco dopo, sotto i colpi di Eracle, dentro il palazzo. Giustizia è fatta, almeno così sembra.

    Proprio quando l’ultimo ostacolo è stato superato dall’eroe che finalmente si è ricongiunto ai suoi cari, appaiono sulla sommità del palazzo Iride e Lissa, figlia della Notte, in orribile aspetto da Gorgone. Costoro annunciano come, per volere della dea Era, Eracle sia destinato impazzire e ad uccidere moglie e figli.

    Dall’interno della reggia si ode il grido straziante di Anfitrione, segno che la follia si è ormai impossessata di Eracle, portandolo a compiere azioni terribili di cui è del tutto inconsapevole. L’eccidio è raccontato in ogni particolare dal Messaggero: solo Anfitrione è stato risparmiato, grazie all’intervento di Atena. Eracle è ora assopito e legato ad una colonna, ma ai suoi piedi giacciono i cadaveri dei figli e di Megara: questa terribile visione riporta l’eroe alla realtà quando, scuotendosi dal sonno ed ormai libero dalla follia, si rende conto di avere assassinato la persone a lui più care.

    Nello stesso istante arriva Teseo, re di Atene, giunto a Tebe in soccorso ad Eracle per ricambiare il beneficio ricevuto dall’eroe che lo aveva liberato dall’Ade e restituito alla vita. In nome dell’amicizia che li unisce, Teseo dissuade Eracle dall’intenzione di suicidarsi, e lo invita a seguirlo ad Atene. Prima di andare via sorretto da Teseo, l’eroe affida ad Anfitrione l’incombenza dolorosa di seppellire i suoi cari.