Mezzogiorno & Mediterraneo. Territori, strutture, relazioni tra antichità e medioevo. Atti del Convegno Internazionale Napoli 9-11 giugno 2005 - a cura di Giovanni Coppola, Edoardo D’Angelo, Rosario Paone

di Giovanni Coppola, Edoardo D’Angelo, Rosario Paone

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    Descrizione:

    La straordinaria molteplicità di società e ambienti urbani e rurali in cui si svolge il passaggio tra Antichità e Medio Evo ha riempito le tre tornate del Convegno Internazionale su Territori, strutture, relazioni tra Antichità e Medioevo. Il progetto Mezzogiorno e Mediterraneo retrostante ha posto in dialogo Archeologia, Filologia, Storia e Storia dell’Arte inserendosi nel dibattito storiografico su continuità o discontinuità nella transizione mediterranea tra Antichità e Medio Evo.

    Al centro della discussione è, punto nodale, la continuità ovvero la discontinuità degli abitati. A chi comprova la continuità della città mediterranea, da Whickham a Ward-Perkins, continua ad opporsi la vecchi, nobile maginot di Giacomo Bognetti, attualizzata dal Conte Carandini che insiste sul Tardo Antico come “ultima civiltà sepolta” e ritiene villaggio, fortezza e monastero “termini alternativi” alla civiltà tout court, fino a negare provocatoriamente la permanenza di città romane a sud di Napoli. E qui torna alla ribalta la sottovalutazione del Mezzogiorno per cui, con lo stesso Bognetti, potremmo almeno ricordare il problema aperto di Bari e di Taranto, anche in funzione delle vivaci colonie ebraiche attestate da una prolungata epigrafia.

    La continuità di testimonianze materiali in un’area già urbanizzata non è da sola prova definitiva della persistenza della civitas, ma è un fatto che le città dell’Italia meridionale bizantina dal IX secolo in poi, non diversamente da quelle anatoliche a partire dalle guerre persiane del VI-VII secolo, continuano a caratterizzarsi secondo un modello nato nel contesto tardo-romano. Fra la seconda metà del secolo VI e la fine del IX, invasione longobarda, impero carolingio e insediamento arabospecificano il Mezzogiorno dal Settentrione accentuando, in forme multiple e complesse, la sua caratterizzazione mediterranea, di cui la città è forma portante.

    Il ruolo delle città come polo di organizzazione del territorio in Italia non subì interruzioni definitive, soprattutto nei territori bizantini dove era sorretto dalla maggiore consistenza delle popolazioni e dalla prosecuzione dei commerci marittimi. Anche nelle aree più critiche, la città supera nel corso dell’VIII secolo la grave involuzione del VI e VII segnata dalla scomparsa di molti centri romani, in particolare nelle due pianure della Campania settentrionale e del Tavoliere di Puglia. Ne è indice il ritorno alla documentazione scritta che, in continua crescita dalla seconda metà del secolo VIII, è assente, o quasi, per il secolo precedente. Pur indeboliti dallinterruzione di rotte annonarie decisive, per prima quella che collegava Cartagine a Costantinopoli, i commerci del Mediterraneo proseguirono, come conferma la diffusione in tutto il Sud dei contenitori alimentari sostituiti alle anfore. Né va dimenticato l’avvertimento di Karl Polanyi a non generalizzare l’istituzionalizzazione odierna del mercato alle società del passato.

    Il nostro Congresso ha consentito di approfondire la sequenza dei fenomeni urbani nell’Italia del Mezzogiorno in chiave di trasformazione del mondo antico, piuttosto che di genesi del mondo medievale che, nella Penisola, meglio corrisponde all’incastellamento e alle signorie locali. Se l’Età di Mezzo europea emerge, ripete Le Goff, da una lenta maturazione, oggi spesso ricompresa in una Tarda Antichità prolungata invece che in un Alto Medio Evo fatto cominciare dal VII-VIII secolo, è Federico Marazzi a segnalare come in Italia debba configurarsi non tanto la catastrofica sostituzione di un sistema con un altro, quanto un lungo processo di trasformazione dei rapporti tra le componenti della struttura antica.

    I risultati dei lavori confermano che nel nostro Mezzogiorno il paese mediterraneo per eccellenza, quello che fa della Penisola Italiana l’asse mediano del Mare Interno dal punto di vista geografico e socio-etnologico. I Popoli del Mare lo frequentano fin dall’Antichità: in successione, od in concomitanza, Egei, Micenei, Fenici, Etruschi, Greci, Cartaginesi raggiungono il Mezzogiorno e vi s’insediano commercializzando i prodotti degl’Italici. La sintesi latina di Roma, che segna della sua grande ombra la vocazione universalista del Medioevo, eredita la direzionalità mediterranea espressa nel navigare necesse est. Le tre civiltà del Mediterraneo medievale – cristiano-occidentale, cristiano-orientale e islamica – mutuano dalla Roma tardo-imperiale, non meno che dai forti imperi di Giustino e di Giustiniano, la consapevolezza del Mare Interno come “pianura liquida” di scambi che non cessano. L’unità tendenziale del Mediterraneo si basa sull’attitudine, ridisegnata in termini commerciali a metà del secolo scorso da Ferdinand Braudel, a farsi intersezione tra Europa, Asia e Africa in presa diretta sull’Indo-Kush. Anche la filologia stratigrafica conferma che i rapporti marittimi, pur affievoliti in occasione di fratture epocali come le invasioni barbariche e soprattutto l’espansionismo islamico, non s’interruppero mai del tutto finendo per delineare, tra migrazioni e interrelazioni, quell’homo Mediterraneus che forma in termini antropologico-culturali i Popoli intorno al Mare.

    Guglielmo de' Giovanni Centelles