A Quality of Jewishness. Ebraismo e modernismo nella critica di Clement Greenberg - Camilla Froio

di Camilla Froio

invia la pagina per emailcondividi su Facebookcondividi su Twitter
  • Prezzo: € 20.00
    Aggiungi Carrello

    Descrizione:

    236 pagine/pages
    16x23 cm.


    Sconfinamenti
    Saggi di Storia dell'arte

    Direttore della collana:
    Alessandro Nigro
    (Università di Firenze)

    Comitato scientifico
    Joana Brites (Universidade de Coimbra), Marcello Ciccuto (Università di Pisa), Fabrizio Desideri (Università di Firenze), Fabrice Flahutez (Université Paris Nanterre), Marianne Jakobi (Université Clermont Auvergne), Christian Joschke (Université Paris Nanterre), Michela Landi (Università di Firenze), Emanuele Lugli (Stanford University), Alessandro Rossi (Université de Fribourg), Angela Sanna (Accademia di Belle Arti di Brera, Milano).
    I saggi pubblicati nella collana sono sottoposti alla procedura di double blind peer review.

    l dibattito intorno a Clement Greenberg (1909-1994), importante voce della critica d’arte americana della seconda metà del Novecento, è ancora lontano dall’esaurirsi. Il presente volume intende offrire un’altra prospettiva di studio del modernismo a partire dalle dichiarazioni personali del critico sulla sua appartenenza ad una minoranza perennemente tradita. Il profondo interesse per l’opera di Franz Kafka, la riattualizzazione dell’Halackha e la condanna del sionismo rappresentano alcuni tra i maggiori contributi di Greenberg al dibattito sulla questione ebraica immediatamente dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Gli anni del suo impegno per la definizione di una cultura ebraica modernamente laica sono i medesimi della sua crescita come critico d’arte e patrocinatore dell’Espressionismo astratto: in questo contesto, le significative tangenze tra l’analisi della letteratura dell’Europa orientale e la lettura del modernismo inducono ad attribuire una nuova centralità al ruolo dell’ebraismo nella critica di Clement Greenberg.
    «Sono nato nel Bronx, a New York, primo di tre figli. Mio padre e mia madre erano arrivati per vie separate dall’enclave culturale ebraico-lituana della Polonia nordorientale e io ho imparato a parlare yiddish insieme all’inglese», scrive Clement Greenberg nel 1955 in una breve Dichiarazione autobiografica, più vicina a un manifesto generazionale che a un ritratto intimo. La ricerca di una definizione adeguata e non dogmatica del significato delle proprie origini ebraiche ha infatti accompagnato la formazione identitaria di un’intera classe di intellettuali, noti come New York Intellectuals, di cui Greenberg ha fatto parte fin dalla seconda metà degli anni Trenta. È il decennio segnato dal secondo conflitto mondiale, dall’Olocausto e dalla nascita dello Stato d’Israele a fare da sfondo all’elaborazione greenberghiana delle linee guida della sua futura concezione estetica. «Credo che una certa qualità dell’ebraismo sia presente in ogni parola che scrivo», confessa il grande interprete dell’arte americana alla vigilia della fine della guerra in Europa, stimolando, a distanza di più di mezzo secolo, a rileggere le origini del modernismo alla luce delle sue radici ebraiche.