COLONNA AURELIANA. La colonna di Marco Aurelio e il basamento della Colonna Antonina. Disegni, intagli e commenti (1704) - Pietro Santi Bartoli e Pietro Bellori (AR 31 - Colonne di Roma, 2)

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    Descrizione:

    Edizione limitata. in 4° oblungo, carta avoriata palatina da gr. 110, 86 pp. con 77 Tavole delle incisioni della colonna di Marco Aurelio, 3 Tavole con incisione del basamento della colonna di Antonino Pio e 1 Tavola ripiegata f.t. con incisione della colonna aureliana per intero.


    La colonna di Marco Aurelio è un monumento di Roma, eretto tra il 176 e il 192 d.C. per celebrare, forse dopo la sua morte, le vittorie dell’imperatore romano Marco Aurelio (161-180) ottenute sulle popolazioni germaniche dei Marcomanni, dei Sarmati e dei Quadi, stanziate a nord del medio corso del Danubio durante le guerre marcomanniche.

    La colonna, che era alta 29,617 metri (pari a 100 piedi romani; 42 metri se si considera anche la base), è ancora nella sua collocazione originale davanti a palazzo Chigi e dà il nome alla piazza nella quale sorge, piazza Colonna.  
    In epoca romana il posto occupato dalla colonna coincideva con il cuore del Campo Marzio, nei pressi dell'Ustrino di Marco Aurelio e circondata da templi, tra cui il Pantheon e il tempio di Adriano,  e monumenti funerari imperiali.

    Il fregio scultoreo che si arrotola a spirale intorno al fusto, se fosse svolto, supererebbe i 110 metri in lunghezza. La colonna fu fatta erigere dal figlio di Marco Aurelio, Commodo, durante il suo impero (180-192), insieme agli otto pannelli che ornano l’attico dell’arco di Costantino ed ai tre conservati nei Musei Capitolini e che, in realtà, erano originariamente destinati a qualche monumento ufficiale, forse un arco onorario. Il basamento era ornato da una serie di bassorilievi che furono distrutti durante la ristrutturazione voluta da papa Sisto V ed eseguita da Domenico Fontana, utilizzando marmi ricavati dal Settizonio. Fu sostituito con un’iscrizione che riporta la errata dedica ad Antonino Pio. In cima alla colonna era situata la statua di bronzo di Marco Aurelio, che fu distrutta nel Medioevo. Fu innalzata sull’esempio della colonna di Traiano ma, al contrario di quest’ultima, le scene rappresentate non sono poste in ordine cronologico. La cronologia degli avvenimenti è molto incerta, ma si ipotizza che raffiguri le campagne militari che si svolsero dal 168 al 172, nella prima parte della colonna, fino alla rappresentazione della Vittoria (con la Germania subacta, ovvero la Germania soggiogata), e dal 173 al 174 nella seconda parte. Nei bassorilievi, considerati meno raffinati rispetto alla colonna di Traiano, viene frequentemente rappresentata la figura dell’imperatore. Le rappresentazioni furono realizzate con lo stile plebeo o popolare che si stava cominciando ad affermare in quegli anni, e che avrebbero soppiantato lo stile ufficiale più classicistico. Nel 1589 papa Sisto V fece restaurare la colonna. Con il restauro, curato da Domenico Fontana, andarono distrutti i fregi posti sul basamento, sostituiti con un’iscrizione che attribuisce erroneamente la colonna ad Antonino Pio, e sulla sommità della colonna fu sistemata la statua in bronzo di san Paolo. La colonna di Marco Aurelio, una colonna coclide analoga strutturalmente alla colonna di Traiano e alta 29,6 metri (è una colonna centenaria; infatti essa misura in altezza 100 piedi romani), è formata da 27 enormi rocchi sovrapposti di marmo lunense, leggermente rastremati verso l’alto, con diametro che varia da 3,80 a 3,65 metri[5]. I rocchi sono scavati all’interno, così da formare una scala a chiocciola di 203 gradini che sono illuminati da piccole feritoie e che portano al "terrazzino" che si trova in cima e che chiude il capitello di ordine dorico. Il basamento parallelepipedo misura circa 11-12 metri e, in origine, la struttura si trovava in posizione rialzata di circa 3 metri sul piano stradale della via Flaminia. Sulla sommità vi era la statua in bronzo dorato di Marco Aurelio. Pertanto, l’intero complesso misurava quasi 50 metri[5]. Un fregio disposto a spirale, alto circa un metro e mezzo, si avvolge intorno al fusto per 21 volte (nella colonna traiana i giri sono 23). Il rilievo mostra scene di battaglia e schiere di nemici vinti durante le guerre combattute dai Romani contro i Germani Marcomanni e i Sarmati, popolazioni che si erano stanziate lungo il Danubio sotto il dominio dell’imperatore, per un totale di 116 scene. La colonna ripete intenzionalmente il modello traianeo, ma, malgrado il tentativo d’emulazione, vi sono evidenti differenze fra le due: mentre nella prima vi è un morbido bassorilievo pittorico, nella seconda troviamo un incisivo altorilievo; il modellato da morbido diventa più aspro, con bruschi passaggi di piano e con il trapano che affonda nel marmo traforando barbe, chiome, corazze, segnando le rade pieghe dei panneggi, i solchi di contorno delle figure, le sinusoidi delle onde dei fiumi. Il racconto si fa più schematico e alla varietà dei motivi subentra la ripetitività, come nelle scene di marcia; i dettagli del paesaggio diminuiscono, le prospettive divengono più convenzionali. L’impostazione obliqua dello schieramento dei soldati nella colonna di Traiano diventa, nella colonna di Marco Aurelio, rappresentazione frontale; la frontalità si estende anche alla figura della Vittoria e a quella dell’imperatore. Mentre Traiano era visto in mezzo ai suoi soldati, Marco Aurelio è già su un piano più distaccato che ne sottolinea la maestà; appare di fronte e inquadrato dal fido e valoroso genero Pompeiano e da un altro ufficiale, che sono impostati di tre quarti, come ali per far risaltare il fuoco centrale dell’imperatore. Nelle scene di adlocutio ("discorso alle truppe") i soldati non si radunano più tutti su un lato, di fronte all’imperatore seduto di profilo, ma formano un semicerchio che gira in basso intorno alla preminente figura centrale e frontale di Marco Aurelio, in questo nuovo schema che preannuncia quello del Cristo fra gli Apostoli. Sparisce quel senso d’umanità e di pietà verso i vinti che traspariva dalla colonna traianea e il racconto bellico diviene crudele e spietato. I corpi dei barbari si stravolgono in ritmi angolosi e distorti, la struttura naturalistica si disorganizza, forzata in modo espressionistico. La narrazione si fa più drammatica e assume toni miracolistici nella rappresentazione del ruscellante Giove Pluvio (scena n.16 della "pioggia miracolosa"), che salva l’esercito romano accerchiato dai Quadi, mentre stava per morir di sete. L’episodio è riferito anche da Cassio Dione Cocceiano e da altri autori cristiani dell’epoca come Tertulliano[6]. Le stesse caratteristiche stilistiche si ritrovano sugli otto pannelli aureliani dell’arco di Costantino, dove, ad esempio, la scena di sacrificio si presenta molto più affollata e densa di figure rispetto alle scene di sacrificio traianee, e questo dimostra una minore sensibilità verso la rappresentazione di Commodo. Lo stile della colonna di Marco Aurelio non vuole rompere con la tradizione, anzi cerca palesemente di aderire ad essa il più possibile. Giovanni Becatti spiega la differenza stilistica fra le due colonne coclidi con il confluire nell’arte ufficiale, proprio a partire dall’età di Commodo, delle tendenze artistiche più popolari (arte plebea), che erano sempre state vive nell’artigianato artistico[7]. Tuttavia i rilievi della colonna Antonina e quelli dei pannelli aureliani dell’arco di Costantino sono ancora opera di maestri d’alto livello: sotto il regno degli imperatori della dinastia antonina, si erano infatti formate a Roma delle botteghe in cui operavano scultori greci immigrati. Affievolitasi la presenza di maestranze greche sotto il regno di Commodo, la realizzazione dei monumenti ufficiali venne affidata ad artisti romani che avevano lavorato in passato sotto la guida di maestri greci e che facilitarono nell’età di Commodo l’affioramento della tendenza alla disorganicità espressiva propria della cultura figurativa etrusca, latina e italica, e che nel campo dell’arte ufficiale era stata sinora smorzata e nobilitata dal superiore naturalismo classicheggiante.