Perdere la testa. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico - Rita Dolce

di Rita Dolce

invia la pagina per emailcondividi su Facebookcondividi su Twitter
  • Prezzo: € 25.00
    Aggiungi Carrello

    Descrizione:

    Collana: Studi Archeologici
    Autore: Rita Dolce
    Formato: 17x24 cm
    Pagine: 144


    “Perdere la testa” si presta nell’uso corrente a definire varie condizioni dell’individuo, a seguito di un
    trauma di varia natura, organica o psicologica, dall’ira al dolore all’innamoramento, ed altro ancora.
    L’espressione viene dunque trasposta dal significato primario di una status abnorme dell’individuo in
    altri significati che attengono a un’assenza momentanea o anche permanente delle facoltà mentali, una
    forma di alienazione; ma con un denominatore comune per chi si trovi a perdere la testa in senso reale
    o metaforico, riassumibile nella perdita del “controllo di sé”.
    Da questa premessa muovono alcune riflessioni, generali ed analitiche, sui valori della decapitazione
    in tempo di guerra per chi la infligge e per chi la subisce alla luce della comunicazione visuale della
    Mesopotamia e della Siria tra III e I Millennio a.C., ove tale procedura occupa un ruolo particolare, non
    assimilabile a mio avviso ad altre, e rispondente ad un livello diverso di alienazione/disabilità dello
    sconfitto, nel merito e nel significato.
    Alcuni elementi che ricorrono nelle culture figurative del Vicino Oriente pre-classico come delle costanti
    nella rappresentazione per immagini e per iscritto della decapitazione e nelle procedure connesse prima
    e dopo l’atto diventano dei codici narrativi di lunghissima durata, come è esemplarmente testimoniato
    da arazzi iberici del XVI sec. d.C. con le storie di Giuditta ed Oloferne.
    Si è inteso quindi presentare una documentazione sul tema in una prospettiva trans-cronologica che
    mira a palesare alcune condizioni, relazioni e valori che stanno attorno a questo specifico atto in tempo
    di guerra, riconoscendo nella testa mozzata un “oggetto ambìto”, spesso sottoposta all’attenzione di più
    attori che interagiscono nelle vicende e nei destini ad essa riservati.
    L’analisi condotta in questo lavoro muove dalla selezione di alcuni codici figurativi e dalla loro diversa
    associazione nelle numerose opere considerate ove la testa mozzata è il focus e ne ripercorre le evidenze
    dall’età preistorica all’età neo-assira in Anatolia, Siria e Mesopotamia; e propone, anche supportata
    da dati testuali quando significativi, interpretazioni iconografiche ed ideologiche diverse in molti casi
    da quelle fin qui prevalenti.
    La testa avulsa dal corpo produce effetti a lungo termine sulla memoria collettiva, soprattutto in casi
    di personaggi eminenti, conferendo all’atto stesso i contorni di una forma rituale. Questa connotazione
    sembra alimentare il taglio della testa anche fuori dallo scenario propriamente bellico documentato nella
    comunicazione visuale e nelle fonti ed investire direttamente immagini di individui e di dei nelle loro
    statue, in forme analoghe nell’atto e nelle azioni connesse alla “perdita della testa” a quelle di soggetti
    umani eccellenti. Gli uni e le altre catalizzatori di energie vitali.