Perdere la testa. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico - Rita Dolce
di Rita Dolce
- Anno Edizione:
- 2014
- Casa Editrice:
- Espera Edizioni
- Argomento:
- Archeologia e tutela del patrimonio archeologico - Saggi e Ricerche
- ISBN:
- 9788898244171
Descrizione:
Autore: Rita Dolce
Formato: 17x24 cm
Pagine: 144
“Perdere la testa” si presta nell’uso corrente a definire varie condizioni dell’individuo, a seguito di un
trauma di varia natura, organica o psicologica, dall’ira al dolore all’innamoramento, ed altro ancora.
L’espressione viene dunque trasposta dal significato primario di una status abnorme dell’individuo in
altri significati che attengono a un’assenza momentanea o anche permanente delle facoltà mentali, una
forma di alienazione; ma con un denominatore comune per chi si trovi a perdere la testa in senso reale
o metaforico, riassumibile nella perdita del “controllo di sé”.
Da questa premessa muovono alcune riflessioni, generali ed analitiche, sui valori della decapitazione
in tempo di guerra per chi la infligge e per chi la subisce alla luce della comunicazione visuale della
Mesopotamia e della Siria tra III e I Millennio a.C., ove tale procedura occupa un ruolo particolare, non
assimilabile a mio avviso ad altre, e rispondente ad un livello diverso di alienazione/disabilità dello
sconfitto, nel merito e nel significato.
Alcuni elementi che ricorrono nelle culture figurative del Vicino Oriente pre-classico come delle costanti
nella rappresentazione per immagini e per iscritto della decapitazione e nelle procedure connesse prima
e dopo l’atto diventano dei codici narrativi di lunghissima durata, come è esemplarmente testimoniato
da arazzi iberici del XVI sec. d.C. con le storie di Giuditta ed Oloferne.
Si è inteso quindi presentare una documentazione sul tema in una prospettiva trans-cronologica che
mira a palesare alcune condizioni, relazioni e valori che stanno attorno a questo specifico atto in tempo
di guerra, riconoscendo nella testa mozzata un “oggetto ambìto”, spesso sottoposta all’attenzione di più
attori che interagiscono nelle vicende e nei destini ad essa riservati.
L’analisi condotta in questo lavoro muove dalla selezione di alcuni codici figurativi e dalla loro diversa
associazione nelle numerose opere considerate ove la testa mozzata è il focus e ne ripercorre le evidenze
dall’età preistorica all’età neo-assira in Anatolia, Siria e Mesopotamia; e propone, anche supportata
da dati testuali quando significativi, interpretazioni iconografiche ed ideologiche diverse in molti casi
da quelle fin qui prevalenti.
La testa avulsa dal corpo produce effetti a lungo termine sulla memoria collettiva, soprattutto in casi
di personaggi eminenti, conferendo all’atto stesso i contorni di una forma rituale. Questa connotazione
sembra alimentare il taglio della testa anche fuori dallo scenario propriamente bellico documentato nella
comunicazione visuale e nelle fonti ed investire direttamente immagini di individui e di dei nelle loro
statue, in forme analoghe nell’atto e nelle azioni connesse alla “perdita della testa” a quelle di soggetti
umani eccellenti. Gli uni e le altre catalizzatori di energie vitali.