Lo scavo didattico della zona retrostante la curia (Foro di Cesare) Campagne di scavo 1961-1970

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    Descrizione:

    2008 pp.182  

    Il fascicolo numero 23 della collana “Strumenti”, fondata nel 1987 quando era direttore della Scuola Gaetano Miarelli Mariani, ha un carattere, per certi aspetti, differente dagli altri che l’hanno preceduto. Esso, infatti, dà conto degli esiti di una lunga campagna d’indagine archeologica, articolata in diversi anni accademici, dal 1961 al 1970, guidata dal professor Nino Lamboglia, allora incaricato dell’insegnamento di “Tecniche di scavo e di restauro delle strutture riemerse”. In quegli anni svolgeva la funzione di assistente al corso la dottoressa Francisca Pallarés che oggi, alternandosi a Piero Dell’Amico, è titolare dell’incarico della medesima disciplina, ora denominata “Metodologia e tecniche della ricerca archeologica” (in quella che attualmente, dopo numerose riforme dell’ordinamento universitario nazionale, è denominata “Scuola di specializzazione in restauro dei monumenti”) conducendo, da tempo, il cantiere didattico di scavo all’interno dell’Anfiteatro Flavio.
     Si tratta, in primo luogo, della volontà della Scuola di saldare, proprio con l’aiuto di F. Pallarés, che si è assunta il compito di curare il presente volume, un grande debito di riconoscenza nei confronti del caro professor Lamboglia il quale, in perfetto accordo con il direttore del tempo, Guglielmo De Angelis d’Ossat, propose e condusse per molti anni, a vantaggio dei giovani allievi, soprattutto architetti e ingegneri, più alcuni laureati in lettere, provenienti da ogni parte del mondo, un’esperienza di autentico scavo stratigrafico quando esso, in Italia, costituiva ancora una novità di metodo. Esperienza cui anche chi scrive ha partecipato con profitto, da studente appunto, nell’anno 1969-70.
    Il fine era quello di avvicinare gli studenti, soprattutto quelli di formazione tecnica, alla complessità, alla delicatezza e al rigore di uno scavo archeologico, per far comprendere loro la quantità di informazioni che si conservavano e si potevano ricavare anche dall’analisi di un semplice metro cubo di terra, solo che lo si sappia interrogare e vagliare con un metodo appropriato di scavo. Nel restauro architettonico, infatti, lo scavo, che può rendersi necessario anche per aprire un semplice cavidotto o un moderno tracciato fognario, può interferire con un sedime archeologico con imprevedibili conseguenze. Perciò, aver sviluppato una capacità di attenzione e di prudenza a questo riguardo, con la coscienza dei danni che si possono, anche involontariamente, arrecare, è garanzia di comportamenti rispettosi e consapevoli. Se ancora oggi ciò non avviene molto di frequente, allora, è facile immaginare, la situazione era molto più critica e la sensibilità di tutela assai meno sviluppata.
    Un secondo intento formativo era quello di aprire e favorire una porta di dialogo fra gli architetti e gli archeologi, due culture e due professioni, sarebbe il caso di dire due mondi, per troppo tempo lontani, incomunicanti e spesso diffidenti, se non ostili. Basti pensare, risalendo a due secoli fa, alle dure parole di Carlo Fea nei confronti di Giuseppe Valadier, giudicato inadatto a toccare, con le sue “callose mani” di uomo pratico e sostanzialmente ignorante, i monumenti antichi.
    Da qualche tempo, per fortuna, le distanze si sono ridotte, sia sotto il profilo degli studi d’architettura e d’urbanistica antiche sia sotto quello di una buona operatività, nelle aree di scavo, volta a individuare le provvidenze di conservazione in situ nonché di presentazione e restauro delle strutture riemerse. Penso, da una parte, ad architetti che prediligono lo studio e, in molti casi, il restauro dei monumenti antichi, come Dieter Mertens e, in ambito italiano e romano in particolare, Alessandro Viscogliosi, Giorgio Rocco, Giorgio Ortolani, Giangiacomo Martines, Paolo Martellotti, Paolo Vitti, Spiridione Alessandro Curuni e Nicola Santopuoli, molti dei quali, non certo per puro caso, attivi proprio presso questa Scuola di specializzazione o da essa stessa provenienti; dall’altra, ad archeologi che amano i temi architettonici e urbanistici, quindi aperti al confronto con gli architetti. Soprattutto gli archeologi che si sono formati nell’ambito della scuola romana di topografia antica, da Carla Maria Amici, che ha collaborato a questo stesso volume, a Marcello Guaitoli, C. Fulvio Giuliani, Franco Astolfi, ivi compresi Adriano La Regina, l’autorevole soprintendente che ha retto le sorti delle antichità di Roma per un trentennio, ed Eugenio La Rocca, l’attuale sovraintendente comunale ai beni culturali, studioso particolarmente attento all’architettura antica e capace di apprezzare gli architetti che si dedicano con profitto a questo tema