Vittima e carnefice. Ambiguità dei ruoli nel Thyestes di Seneca

di Antonio Marchetta

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    Descrizione:

    Collana Studi e Proposte 11 Ottobre 2010 - edizione 1 - vol. 1 520 pp. - Formato 16x23 Lingua: italiano
    Tieste e Atreo: facce antitetiche ma speculari di un'unica realtà, quella dell'uomo vittima della sua stessa vocazione al Male. All'inesorabilità di questa angoscia esistenziale la tragedia di Seneca dà voce possente e struggente. A uno dei miti più frequentati dalla drammaturgia greca e romana Seneca ha saputo imprimere il sigillo della sua personalità grazie a una straordinaria capacità di scandagliare i più tenebrosi abissi dell'umana psiche. Superando un'intrinseca inclinazione a porsi come elementari e meccanicistici stereotipi, Atreo e Tieste nella tragedia senecana escono dai rigidi schemi di ruoli paradigmatici per acquistare il mobile, tortuoso profilo di figure vive e reali, dimostrazione di quanto sia arduo sondare, decifrare, giudicare e "classificare" l'animo degli uomini. La vicenda di Atreo, re di Argo, che al fratello Tieste, colpevole di avergli sottratto il regno e sedotto la moglie, imbandisce un banchetto cannibalico con le carni dei figli di quello, è sempre stata trattata come emblema degli effetti devastanti che sull'animo umano riesce a scatenare la brama di potere, con Atreo blindato nel ruolo di torva incarnazione dell'ethos tirannico e Tieste blindato nel ruolo di vittima. La presente rilettura segue una chiave interpretativa diversa rispetto alla communis opinio; la dimensione politica è certamente fondamentale anche nella tragedia senecana, ma a essa il Cordovese, con uno scarto di potente originalità, antepone la dimensione umana: il vero motore dell'azione sta nel dramma familiare di Atreo, perennemente incalzato dal sospetto circa il dubius sanguis dei suoi figli, forse generati dall'adulterio della moglie; inoltre Tieste, nel quale la critica concordemente tende a riconoscere i segni di un processo di riscatto sapienziale, a una più attenta analisi rivela di essere invece ancora posseduto dal demone del potere come, anzi più di Atreo, al punto da sacrificare i suoi stessi figli alla speranza di rimettere le mani sullo scettro regale. I vertici ideologici della tragedia sono rappresentati proprio dall'"altro Atreo" e dall'"altro Tieste", vale a dire dall'Atreo di cui alla fine si palesano le tormentose ferite umane, e dal Tieste che dietro le pose sapienziali tradisce uno spietato regni furor. Insomma nella tragedia di Seneca ognuno si ritrova, sia pure a vario titolo, colpevole e vittima, in un micidiale ingranaggio che tutto stritola. In questo modo Seneca dava al teatro romano una nuova forma tragica, più moderna e universale, non limitata al tradizionale contrasto fra bona mens e furor, ma plasmata dalla coscienza di un'umanità inesorabilmente inchiodata al Male.