Il Codice Purpureo di Rossano. Codex purpureos rossanensis. Perla Bizantina della Calabria - Francesco Filareto Luigi Renzo

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  • Prezzo: € 25.00
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    Descrizione:

    In 8°, brossura, 69 pp., ill.ni a colori
    a cura di Renzo Luigi - Filareto Francescoil Codice Purpureo di Rossano Calabro, risalente fra la fine del V e l’inizio del VI secolo. Si tratta di una preziosissima pergamena di ben 376 pagine (188 fogli della dimensione di cm. 30,7 X 20), che contiene un antichissimo evangelario scritto con raffinati caratteri in oro e argento, illustrato da 16 stupende miniature sulla vita di Cristo. Questo documento, unico nel suo genere, riporta in lingua greca il Vangelo di Matteo e quello di Marco fino al cap. XVI,14. In origine doveva contenere anche Luca e Giovanni, visto anche il frontespizio con l’illustrazione dei quattro evangelisti. Questo evangelario è considerato il più importante esempio al mondo di codice greco miniato, ed è stato composto certamente in medioriente, ad Antiochia di Siria o a Cesarea di Palestina, e deriva il suo nome dal fatto che è scritto su una pergamena sottilissima color porpora, che, nelle terre di Bisanzio, veniva anticamente utilizzata solo per documenti particolarmente importanti. Questo Codice potrebbe essere stato portato in Calabria dai quei monaci melchiti che, a cavallo tra l’VIII e il IX secolo fuggirono dalle persecuzioni subite durante l’espansione islamica all’interno dei territori cristiani bizantini. Rossano Calabro, situata sull’alta costa ionica della Calabria, a pochi chilometri dal mare, era già nel VI secolo un importante centro bizantino di circa ventimila abitanti, ove spesso confluivano profughi dal medioriente, come anche dalla Sicilia, anch’essa invasa dagli arabi. Ed è proprio a causa dell’immigrazione di monaci ed eremiti greci che Rossano diventò punto di diffusione, nell’Italia meridionale, della cultura e della liturgia greca. Da questa presenza scaturisce quel monachesimo greco-calabro che seguiva ancora la regola di San Basilio (329-379), capostipite del monachesimo basiliano. L’influenza di Rossano sulla vita della Chiesa antica è evidenziata anche dal fatto che la città diede i natali a due importanti papi, quali San Zosimo di Rossano (417-418) e Giovanni VII (705-707). Nel X secolo Rossano Calabro aveva raggiunto il culmine del suo splendore diventando il polo culturale più importante della Calabria. Sede del vescovado e del governatore bizantino, vide sorgere anche alcuni santi, tra cui San Nilo (905-1000), fondatore della Badia di Grottaferrata. Accanto alla Cattedrale (dedicata alla Madonna Achiropita, cioè “non fatta da mano umana”, in riferimento ad una misteriosa icona pietrale lì formatasi nel VII secolo), sorge il Museo Diocesano, ove è custodito il Codex Purpureus, che precedentemente era conservato nel tempio detto Patirion. Furono due ricercatori tedeschi, Von Harnak e Von Geghardt a comprendere la grandissima importanza storica della pergamena, segnalandone la presenza agli studiosi di tutto il mondo nel 1879. Gli studiosi furono subito colpiti dalla bellezza del testo, scritto su due colonne di venti righe ciascuna: le prime 3 con iniziali in oro, le successive 17 con iniziali in argento. Le 12 raffigurazioni miniate illustrano: la risurrezione di Lazzaro, l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, la cacciata dei mercanti dal Tempio, la parabola delle vergini savie e delle vergini stolte, la sacra lavanda dei piedi nel cenacolo, la Comunione col pane, la Comunione col vino, Cristo nel Getsemani, il miracolo del cieco nato, la parabola del buon samaritano, Gesù dinanzi a Pilato, la morte di Giuda, processo e condanna di Cristo, liberazione di Barabba, flagellazione di Gesù. Ai piedi delle rispettive scene compaiono le immagini dei profeti che commentano i relativi episodi. Vi è anche la miniatura dei quattro evangelisti all’interno di un cerchio policromo, ed in particolare quella di San Marco mentre scrive il suo vangelo ispirato da una figura di donna che rappresenta molto probabilmente la Divina Sapienza. Il Codice è composto, come si è detto, di 188 fogli, ma originariamente ne doveva contenere circa 400, con l’intero testo dei 4 vangeli, delle dieci tavole dei canoni, e della lettera di Eusebio di Cesarea a Carpiano sulla concordanza dei vangeli, lettera di cui è rimasta solo una parte. Fu proprio Eusebio, vescovo di Cesarea, a lasciarci nel 318 una delle più antiche testimonianze del Canone cristiano, l’elenco dei libri sacri che compongono il Nuovo Testamento. I primi codici realizzati nell’antichità, finemente decorati e spesso utilizzati nelle processioni liturgiche o nelle esposizioni solenni, nascono anche dall’esigenza di dare prestigio ed ufficialità ai libri neotestamentari, elencati dal nuovo canone dell’era cristiana.